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Editoriale

EDUCARE È SEMINARE

Quanto i bambini chiedono di essere educati

Gennaio-2020

E ora, dopo aver celebrato la nascita di Gesù, è tempo di riflettere, partendo dal bambino di Nazareth, su quell’età incantevole che è l’infanzia. I Vangeli non trattano l’argomento, c’è solo il cenno a Gesù che cresceva “in età, sapienza e grazia, davanti a Dio e agli uomini”: è emozionante leggere, nell’umanità di questo bambino straordinario, il vissuto di ogni bambino.

Mi soccorrono alcune interessanti, recenti, pubblicazioni in materia, la mia esperienza di educatore e il mio attingere a studi e a lavori di illustri pedagogisti, tra cui Piaget. Il Novecento è stato un secolo straordinario perché ci ha consentito di scoprire e valorizzare l’infanzia, non considerandola più, come si riteneva comunemente in precedenza, un “tempo inutile”, da vivere il più rapidamente possibile, in attesa, poi, di diventare adulti. Era, infatti, comune ritenere che il compito principale dell’esistenza umana fosse quello di superare l’età infantile. Il ribaltamento di questa ottica adultomorfa del bambino ci ha convinti, giustamente, che il bambino non è da considerarsi come un “adulto difettoso”, ma piuttosto un essere che, relazionandosi al proprio ambiente in modo attivo e ricettivo, agisce sul mondo sviluppando la propria intelligenza all’interno dell’arco della sua vita. L’età infantile ha la sua dignità, la sua ragion d’essere e il suo valore: è in embrione l’adulto che un domani sarà, plasmato nell’oggi della sua infanzia. Ciò rende evidente, se ancora ce ne fosse bisogno, come il compito educativo, quello preminente dei genitori nonché degli altri soggetti educanti, in particolare la scuola, attraverso gli insegnanti, e la chiesa con i religiosi e laici, debba essere accompagnato da grande cura e professionalità. Sono questi, oggi, per noi adulti ed educatori il compito e la sfida prioritaria, purtroppo facilmente disattesi, che ci interpellano su senso di responsabilità e dedizione. Un compito, quello educativo, che prima ancora di essere interpretato in modo nuovo, dovrà essere custodito e interiorizzato. Proprio come la Madre del Bambino: Lei “Custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore”.

Contestualmente, parlando di bambini, non si può non riflettere su come oggi, nella società occidentale, e nello specifico in Italia, si assista al crollo della natalità come pure alla flessione dell’indice di gradimento dei piccoli. Come è noto in Europa il numero medio dei figli per donna è in continuo declino e la maglia nera spetta all’Italia con un tasso medio di fecondità pari a 1,50. Sempre in Europa negli ultimi cinquant’anni si è verificato una riduzione di bambini pari al 40%. Le cause sono molteplici, non ultime – oltre al “costo economico” di un figlio – la responsabilità educativa percepita sempre più impegnativa e una diffusa “insofferenza” degli adulti nei confronti dei bambini. Bambini che oggi (ma solo oggi?) spesso pretendono, fanno capricci, non stanno mai fermi… E genitori che sono sempre più in affanno, sgridano, minacciano ritorsioni… che poi quasi mai applicano. In questo clima vagamente surreale avviene che “l’altro”, sia esso il bambino di turno come pure il genitore o il vicino di casa, appaia sempre più antipatico e fastidioso. Insomma nonostante la scoperta di nuovi e apprezzati modelli educativi ci si allontana dal metterli in pratica, rinunciando così, come genitori, ad esprimere, nei confronti di chi è il futuro della nostra società, la generosità educativa: donarsi e darsi al bambino perché cresca e diventi capace di affrontare il mondo con autonomia e interesse per gli altri. I genitori che oggi sono distanti dal praticare questa attenzione come forma più alta di generosità, modellano invece l’azione educativa sulla vigilanza e il controllo. Prevale infatti spesso la preoccupazione, se non addirittura la paura di pericoli e ciò “fa male al bambino”: “Stai attento, non fare questo, non fare quello…”. Paura che sta contagiando anche gli educatori e i sacerdoti, che non vogliono essere ritenuti semplici “sorveglianti”. Questi, e sono la maggioranza, rimangono convinti che l’azione educativa nel suo aspetto più alto sia rivolta al bambino integrale, capace con la sua intelligenza e sensibilità di sperimentare la generosità e mostrarsi, a sua volta, generoso. La generosità! È essa l’elemento di continuità ideale tra il Bambino di Betlemme e tutti i bambini. Generosità: donare, rinunciare alla pretesa di essere un re, il Re. Per Gesù tutto ciò ci appare evidente nella fede: egli riconosce la presenza del Padre e assume una coscienza di Figlio che si fa dono agli altri e vive la sua vita, in libera obbedienza. E questa evidenza dovremmo vederla anche in ogni bambino.

Nasce spontanea la domanda: qual è il senso di educare un bambino? Educare significa etimologicamente “tirare fuori”, muovere da uno stato di contingenza verso una direzione che riteniamo sia crescita. Ciò coinvolge l’educatore che deve avere una direzione e un obiettivo e il bambino che “paga il prezzo” di questo movimento di crescita. In che cosa consista il “prezzo da pagare” lo conosce bene il bambino che, istintivamente, si rifiuta: è il “prezzo” dell’accettazione del limite. Cioè della decisione sempre dolorosa che il bambino rinunci a fare solo quello che gli piace. Anche i genitori hanno un “prezzo da pagare” nel loro compito educativo: quello di rinunciare alla pretesa di volere il figlio tutto per sé. I Figli non ci appartengono. Questo prezzo da pagare significa, concretamente, agire secondo codici morali tramite i quali il bambino possa riconoscere ciò che è giusto o sbagliato, opportuno o inopportuno, possibile o meno. Codici morali di comportamento che dovranno prima essere vissuti dagli adulti e poi esemplificati ai bambini, così che si crei e si rafforzi un legame di reciproca fiducia. Solo in questo contesto il bambino riuscirà a superare la pretesa tirannica di essere “bambino imperatore”, e accettare il limite, doloroso, di poter essere anche uno tra altri o addirittura separato, trascurato dagli adulti che egli stima. Conoscerà così la legge morale del vivere e la farà sua secondo la propria unicità.

Educare un bambino è come seminare. Il tempo della seminagione ci insegna a porre il tempo futuro davanti al tempo presente. Sull’esempio del Bambino di Nazareth che vive di Futuro crescendo in età, sapienza e bellezza verso Dio e gli uomini.

don Francesco Poli