Anni fa si era soliti usare diversi termini per indicare la vita dei cristiani: cristiani impegnati; cristiani praticanti, cristiani tiepidi, cristiani pasqualini…
Il tutto in base alla pratica religiosa.
Perché alcuni venivano chiamati “pasqualini”?
Perché all’avvicinarsi della Pasqua andavano a confessarsi e poi ricevevano l’Eucaristia. Solo a Pasqua, naturalmente. Osservavano così, in modo puntuale, un precetto della Chiesa: “Confessarsi… e comunicarsi almeno a Pasqua”!
Essi ubbidivano a una legge (appunto “precetto”) della Chiesa: adempiuta la legge, si sentivano “a posto”, si sentivano “buoni cristiani”!
Orbene: se la confessione (non solo quella pasquale, ma ogni confessione) è vista e vissuta così, ha chiaramente fallito il suo principale obiettivo. Lo stesso vale per tutti coloro che si domandano: “Che cosa devo dire in confessione?”, oppure: “Non ho peccati…!” oppure: “Ho visto in confessionale il Prete e allora…”!
La confessione è un gesto serio, impegnativo: infatti, è un incontro personale con Dio stesso.
Di più: è Dio stesso che per primo si muove verso l’uomo.
Con la Sua Parola scuote l’anima, chiedendo un atteggiamento di apertura, di ritorno a Lui e tu ti risvegli dal tuo vivere abitudinario, dalla tua vita orientata su te stesso e sulle cose. Alzi la testa; accetti di metterti in ascolto, di lasciarti illuminare, di riconoscere in quella voce il Dio che ancora una volta ti si fa vicino e ti chiede di affidarti a Lui: Egli fissa i Suoi occhi nei tuoi, ascolta attentamente quanto il tuo cuore in quel momento di massima schiettezza, umiltà e fiducia gli dice: “Signore, sono così…! Ti avevo promesso…, ma non ci sono riuscito. Mi affido a Te”! E il Signore con amore di vero papà, ti risponde: “Ti ho ascoltato, e sta sicuro che non mi sono mai pentito di te. Ho sempre tanta fiducia in te, ho tante speranze e tanti progetti su di te”!
Immensa allora è la meraviglia: ti aspettavi un rimprovero, un “ti perdono, ma sta attento, ora!”, quindi un’assoluzione condizionata, invece ti senti caricato con gioia sulle Sue spalle, come la pecorella smarrita, ti vedi chiamato a tavola, accanto a Lui, come il figliol prodigo. Questa meraviglia diventa gioia, e non puoi non comunicarla agli altri!
Allora: è chiaramente fuori posto domandarsi “che cosa devo dire in confessione?”. Confessarsi non è soprattutto elencare le azioni che sono contro i Comandamenti o le leggi della Chiesa (anche questo!), ma principalmente è accettare che il Signore ti si faccia vicino, ti illumini, ti faccia sentire quanto ti ha amato e quanto ti ama ancora, nonostante tutto. Pertanto diventa spontaneo rimanere confusi per non aver capito questo amore, per essere andati per una diversa strada. Manifestare con sincerità e umiltà la nostra confusione: questa è la vera parte svolta dal penitente. Dio sicuramente farà la Sua. Cioè rinnoverà il cuore: è perdono, è risurrezione.
È vera confessione pasquale.
Don Ubaldo