
Viviamo in un’epoca attraversata da quelle che potremmo chiamare “passioni tristi”. Viviamo cioè dominati da un senso di impotenza nei confronti degli accadimenti e di quella che sembra essere una crescente disgregazione sociale. La promessa dello scorso secolo, animata dal sogno di un progresso infinito come effetto dello sviluppo scientifico e tecnico, non si è realizzata: lo sviluppo della scienza e della tecnica non ci ha portato in un mondo di certezze, tali da consentirci di dominare la forza della natura e il futuro. Al contrario il passaggio al nuovo millennio ne ha ampliato le fragilità, decretandone, in taluni casi, il fallimento e gettando gli uomini nell’incertezza che si connota come una “tristezza”. Il filosofo Husserl lo scriveva già nel 1930: “Nei momenti di disperazione della nostra vita – come si ode ovunque – questa scienza non ha nulla da dirci. Le questioni che la scienza esclude per principio sono proprio le questioni scottanti della nostra infelice epoca per un’umanità abbandonata agli sconvolgimenti del destino. Sono le questioni che riguardano il senso o l’assenza di senso dell’esistenza umana in generale”. In effetti, anche se le tecnologie non cessano di progredire, il futuro resta più che mai imprevedibile, incerto e ciò mette l’umanità in una condizione di angoscia.
La società contemporanea mostra di essere attraversata da una profonda crisi, crisi dei capisaldi stessi della nostra cultura Oggi, come pare evidente, l’uomo economico supplisce alla mancanza di significato, valore, con l’economia, che diventa pertanto il criterio della vita e per la vita. Così, nell’economicismo il mondo diventa merce che produce a sua volta un modello d’uomo e di vita inseparabili dagli stessi oggetti economici. Di fronte a tutto ciò si apre alla ragione, prima ancora che alla fede, la vera sfida: quella dell’urgente necessità di liberarsi del primato dell’aspetto economico che costringe ad essere “utenti – consumatori” per costruire, invece, relazioni tra persone, legami.
Anche le recenti manifestazioni giovanili e studentesche, finalizzate ad una maggiore attenzione al rispetto della Terra, rivelano il fallimento dello scopo nella concezione di “modernità”: rendere l’uomo capace di cambiare a suo piacimento ciò con cui si relaziona. Così la nostra epoca, quasi attonita di fronte alla perdita di ogni presunta onnipotenza, si scopre radicalmente insicura. Ed è proprio il tema della sicurezza che oggi ha una “forza dominante”, continuamente evocata, quasi come un’ossessione. Ma la storia ci insegna che quando una società in crisi si riferisce in modo massiccio e irrazionale ad un tema, sempre lo stesso, non argomentando d’altro se non della necessità di proteggersi o di sopravvivere, non è remota la possibilità che tale società ritenga che ”in nome della salvaguardia dei propri superiori ideali” tutto sia permesso. Piuttosto, di fronte alla crisi epocale della nostra società è opportuno richiamare alla mente l’ultimo discorso di Martin Luther King, tenuto qualche giorno prima di essere assassinato: Dobbiamo rimanere vigili davanti alla grande rivoluzione. Dobbiamo prendere atto che al giorno d’oggi sta avendo luogo una grande rivoluzione. In un cero senso è una tripla rivoluzione: c’è una rivoluzione tecnologica, con l’impatto dell’automazione e della cibernetica; c’è una rivoluzione negli armamenti, con il sorgere di armi automatiche e nucleari; e poi c’è una rivoluzione dei diritti umani, con l’esplosione di libertà, che sta avendo luogo in tutto il mondo. Sì, viviamo in un’epoca di cambiamenti.
La forza dirompente del fattore economico nonché dell’innovazione, quali appaiono nella nostra società occidentale, sono di per sé portatori di soluzioni che possono migliorare la nostra esistenza: il progresso è sì un fenomeno inarrestabile, ma è erroneo pensare che sia ineluttabile nel suo tracciato e non governabile. Infatti, solo pensando, studiando, discutendo e decidendo concordemente e solidalmente come gestire i cambiamenti della società d’oggi e la spinta derivante dall’innovazione tecnologica, si troverà la via per non essere travolti e per un mutamento radicale della vita di tutti noi. È indispensabile conoscere cosa accade per saperlo governare.
In definitiva, per un futuro sostenibile occorrerà concentrarsi sull’essere umano, riflettere su lui e per lui, non soltanto come slogan, ma in quanto punto di partenza sostanziale e imprescindibile per governare il cambiamento in atto. Come? Un esempio potrebbe essere garantire la diffusione delle competenze necessarie ai lavori del futuro. Valorizzare la centralità della persona significa anche investire in infrastrutture che rispondano ai bisogni della comunità, soddisfacendoli. Significa garantire il necessario per una vita dignitosa attraverso un reddito minimo universale, che crei una rete di sicurezza sociale senza disincentivare l’accesso al lavoro. Non ultimo, infine, porre all’attenzione una revisione del sistema fiscale con il passaggio ad una tassazione minore del lavoro e maggiore del capitale (a partire dai big del web). I benefici derivanti dalla tecnologia dovrebbero essere usufruibili da fasce più ampie della popolazione, più di quanto finora avvenuto. È auspicabile dunque la ricerca di una nuova “forma sociale delle tecnologie”, una forma che impone sia una forte componente educativa, sia anche la definizione di un nuovo modello economico e sociale più inclusivo e universale.
don Francesco Poli