È ormai tutto pronto: dal 3 al 28 ottobre prossimi, XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, definito il “Sinodo dei Giovani” si terrà in Vaticano, ed ha come finalità quella di ribadire la consapevolezza del fondamentale, prescrittivo e per nulla opzionale compito proprio della Chiesa di accompagnare i giovani verso la gioia dell’amore. La pastorale giovanile non è una scelta alternativa fra tante, soprattutto nel nostro tempo a fronte del passaggio epocale che si sta vivendo e che interessa primariamente proprio le nuove generazioni… e il legame tra le generazioni.
Ne parliamo con don Francesco Poli, impegnato nella pastorale quotidiana, che vede in questo evento Sinodale l’incontro fecondo dello Spirito con la Chiesa per ritessere il legame della vita e della fede tra i giovani e dei giovani con la comunità degli adulti.
Don Francesco, lei ritiene che l’azione pedagogica e pastorale possa rivalorizzare oggi il legame tra le generazioni e ristabilire quel collante che tiene insieme giovani e adulti in una dimensione comunitaria. Lei recupera da subito l’espressione biblica “Di generazione in generazione”.
Certamente: «Di generazione in generazione» dice, sinteticamente, la condizione del popolo d’Israele. Un popolo che, nella Bibbia, è il paradigma di ogni tipo di popolazione che abita la Terra: una comunità migrante che trova nel simbolismo del deserto il luogo del suo peregrinare e, con la consapevolezza di tutto ciò, ogni anno nella festa del Ringraziamento riconosce: «Mio padre era un Arameo errante» (Dt 26,5). Siamo già nel cuore della questione «Di generazione in generazione»: riconoscere la condizione esistenziale che ribadisce, affermandola, la memoria collettiva e culturale dell’umanità. Peculiare di tale memoria è il non essere generica, ma specifica di ciascun gruppo umano. Tale condizione, che genera la memoria culturale, nella Bibbia si definisce con la cacciata dal Paradiso Terrestre; inizia così il libro delle generazioni, cominciando da Adamo» (Gn 5,1). La memoria diventa memoria culturale, inculturazione cioè attribuzione di identità e durata ai gruppi umani, costituendo quello che si può definire lo «spirito di un popolo».
In ogni caso la memoria culturale procede sempre dalla memoria personale. Infatti è sufficiente riferirsi alla personale esperienza, per essere consapevoli di come una stessa vicenda possa essere raccontata in modo diverso e assumere un diverso significato se raccontata a un amico, a un figlio o se la si scrive per il gusto di raccontarla. La storia muta non solo in ragione del destinatario, ma anche nel tempo, perché muta anche chi narra: il passato, infatti, lo ricordiamo alla luce delle esperienze che si vivono e così lo si ridefinisce. Ecco perché le origini, le vere origini identitarie, non sono storiche, ma mitiche. All’origine non sta “il che”, ma il racconto.
Cosa esprime allora il messaggio “Di generazione in generazione”? Cos’è la “memoria culturale”?
Essa si origina nel passaggio dalla semplice narrazione fatta da un testimone oculare, narrazione che si esaurisce nell’arco di una generazione, alla narrazione che permane nel tempo. La memoria culturale si origina dal permette il “perdurare simbolico” di quella narrazione oltre la continuità della trasmissione diretta. Venuta meno col passare del tempo la voce narrante dei protagonisti, la memoria si conserva attraverso istituzioni e si ritualizza. Diventa scrittura e simbolo. Noi così conserviamo la nostra identità “di generazione in generazione” attraverso il Rito che riaccende il racconto dell’esperienza vissuta.
A tale proposito è interessante ricordare come, nella prospettiva Biblica, il termine “generazione” vada colto non in una condizione statica che la identifichi storicamente, data come “quella generazione lì”, piuttosto in una dimensione dinamica: nella dimensione di passaggio, cioè come da una generazione presente proceda una generazione futura che riprende le memorie della precedente, in continuità temporale. Nell’espressione «di generazione in generazione» più importanti della locuzione “generazione” sono le preposizioni «di» e «in», che indicano lo stabilizzarsi della durata. Così nella Bibbia «di generazione in generazione» finisce per diventare un sinonimo del termine “olam”, nel suo significato di «sempre», «eternità». È l’infinità del tempo di cui non si vede l’origine e non si vede la fine, ma si percepisce soltanto lo scopo in Dio che li tiene uniti. Nel tempo dura la fedeltà di Dio alla sua promessa. Dio, “L’Io Sono”, rimane fedele alla Sua promessa, ma questa sarà continuamente riconfermata a partire dalla prima promessa, allorché Dio dice ad Abramo: «Padre di una moltitudine di popoli ti renderò. […] Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione» (Gn 17,5-7).
Come è nata l’idea di proporre lo slogan: “Il Vangelo. Di generazione in generazione”, per il cammino del nuovo anno pastorale?
Principalmente per richiamarci l’attualità di due sfide. La prima è determinata dall’ allargarsi della frattura tra le generazioni, nonché dalla sempre più diffusa incapacità di attivare “passaggi generazionali”. Ciò è realtà in tutti i campi del vivere, ma soprattutto in quello educativo e della fede cristiana. L’altra sfida vede lo slogan «Di generazione in generazione» significante della responsabilità verso le nuove generazioni e il futuro della Terra. Una dimensione questa che negli ultimi anni è assurta a paradigma di un nuovo modo di costruire le relazioni tra gli umani, con gli animali e la Terra, indirizzati, tesi verso un nuovo modello di sviluppo e quindi di vivere la nostra condizione umana nel Vangelo.
Questo Sinodo in che modo sarà fecondo per i giovani?
Papa Francesco incontrando un gruppo di giovani in preparazione al prossimo Sinodo ha detto: … provate a uscire dalla logica del “si è sempre fatto così”. Penso che questo evento di Chiesa farà bene a noi adulti, prima ancora che ai giovani. Infatti solo se sapremo trovare vie nuove per testimoniare il Vangelo nelle nostre comunità, vie nuove che non sono necessariamente contrapposte ai sentieri percorsi dalle comunità nel passato, sapremo rimanere insieme in modo creativo nel solco dell’autentica tradizione cristiana. Il Vangelo fa bene ai giovani e, se fa bene a loro, fa bene alla fede di tutti.