
Purtroppo, i segnali sempre più allarmanti che la Terra manda agli uomini non ricevono quell’attenzione immediata e urgente che meriterebbero; sembra quasi che l’attenzione sia passeggera, temporanea, ma non produca quegli interventi che invece necessiterebbero; sono grida sempre più disperate che, per mille ragioni e convenienze, solo apparentemente comprensibili, non vengono ascoltate: una sorta di ecologismo di facciata, che, ahimè, lascia il tempo che trova. Il grande interrogativo, che dovrebbe sollecitare tutti indistintamente, è: la Terra si salverà e in quali condizioni?
È incoraggiante aver appreso che i capi di Stato e di governo del mondo, riuniti per la COP 26 a Glasgow, intendono prepotentemente riportare i loro paesi ad essere leaders nella lotta ai cambiamenti climatici. Nei giorni del nuovo drammatico rapporto shock dell’ONU, il Presidente USA ha inviato un chiaro monito a Paesi come la Cina e l’India: “Non possiamo più aspettare, i segnali sono inequivocabili. La scienza è incontrovertibile e i costi del non agire continuano a crescere”. Un appello che arriva anche all’Europa, con tutti i governi compatti nel ribadire che non c’è più tempo da perdere per salvare il Pianeta. “Basta ritardi! Servono azioni ambiziose ed immediate. E tutti i paesi, soprattutto le principali economie, devono fare la loro parte; devono fare tutto ciò che è essenziale per invertire decisamente la rotta in questo cruciale decennio”.
Si impone oggi, in un contesto non solo ecclesiale, un riesame critico di come la cultura attuale ha affrontato la modernità. Siamo tutti consapevoli che ci sono stati dei limiti interpretativi, che si è pensata la creazione troppo spesso come realtà senza la bellezza e la dignità di creatura di Dio, come comportamento pratico, quando si è trasformato l’uomo in un essere arrogante che mirava al dominio del mondo, della natura, della creazione. L’uomo, al contrario, non va pensato come il padrone del mondo in funzioni di dominio, ma come custode della creazione che partecipa al suo perfezionamento: quindi il nuovo dialogo tra creazione ed essere umano deve essere colto come la via maestra da seguire. Anche la Chiesa con i suoi numerosi interventi, in particolare in Caritas in Veritate di Papa Benedetto XVI, insiste sull’ispirazione che ha la bellezza del cosmo e chiede all’uomo un’apertura ad una nuova ecologia umana che miri a “rifare l’uomo” e a conciliare la creazione all’ambiente.
Altra grande questione è quella del rapporto tra etica e futuro. Ci troviamo in un preciso contesto storico: in questi ultimi decenni a livello globale si sente la necessità di uscire dalla crisi della modernità, di superarne i limiti di meccanicismo, di economicismo, di antropocentrismo, di utilitarismo, che sono stati innalzati ad una fragile egemonia, già carente di una radicata consistenza morale e culturale. Per dirla con le parole di uno dei grandi pensatori del secolo scorso, Henri Bergson, “appare con tutta evidenza l’esigenza di illuminare il cammino della tecnica e dei suoi processi con un supplemento d’anima”: un’esigenza quindi di primato etico-spirituale. Il cambiamento climatico e l’uso improprio del territorio rappresentano, al presente, un grave ed impegnativo problema per ognuno di noi. Investono la vita dell’intero pianeta. La terra e tutti i suoi ecosistemi costituiscono un dono prezioso che abbiamo ricevuto e che dev’essere trasmesso in modo corretto alle future generazioni.
Di fronte alle sfide globali – economiche, ambientali o di ogni altro genere – siamo chiamati a vivere in modo da mostrare i valori del bene comune e il nostro rispetto verso la natura e verso tutto il Creato. In un mondo dotato di risorse naturali “non illimitate” dobbiamo promuovere uno stile di vita che prevenga (ecco il discorso della prevenzione nel suo senso più alto) ogni forma di spreco e di abuso verso la natura, che favorisca una doverosa e saggia amministrazione di tutte le risorse. Le problematiche discusse e le sfide da affrontare con gli effetti dei cambiamenti intervenuti non hanno a che fare solo con gli aspetti tecnici. Etica, cultura e religione sono elementi sostanziali di un franco stile di vita e devono essere tenuti in conto, se si vuole assicurare uno sviluppo umano integrale. Soltanto con un’ecologia realmente umana, che tenga conto dei diritti, ma anche delle responsabilità che abbiamo gli uni verso gli altri, si promuoverà un’integrale educazione ecologica. In questa prospettiva il tema centrale per il presente e il futuro è riuscire a fare in modo che l’umanità possa vivere in maniera dignitosa ed equa senza distruggere irrimediabilmente i sistemi naturali.
La drammaticità della situazione globale esige quindi una rinnovata alleanza tra scienza, tecnica, etica, arte e spiritualità per la costruzione di un progetto unitario del genere umano al fine di affrontare efficacemente la questione decisiva della propria sopravvivenza.
A fronte della sfida globale che oggi ci aspetta, il profilo etico che emerge è riassumibile in alcune parole sintetiche ma, al contempo, estremamente significative: vogliamo impegnarci non a dominare, ma a prenderci cura, migliorare, comprendere. Ebbene, qual è allora la nuova piattaforma di valori che tutti insieme dobbiamo costruire affinché ispiri e guidi la nostra presenza sul pianeta e quindi le nostre riflessioni anche dell’oggi? La concezione del pianeta come “la casa comune” dell’umanità, di cui noi umani siamo ospiti e non padroni o possessori come per secoli abbiamo pensato. Allora il ruolo dell’uomo qual è? Non più quello che i greci chiamavano l’uomo di prepotenza, bensì la misura, la sobrietà, nonché l’attenzione alla bellezza del creato, della mente e dello spirito che lo innalzano a custodia del creato; e allora l’abitare dell’uomo, il suo operare all’interno del mondo della tecnica si presenta e deve presentarsi sempre di più in modo non invasivo, che non spoglia e saccheggia i beni della natura, ma che si inserisce, piuttosto, nel ritmo della natura e della sua evoluzione in dialogo alla ricerca delle compatibilità necessarie. Ultimo, ma non per importanza, l’impegno a salvaguardare sistemi, biodiversità, beni naturali (acqua, aria, terra, foreste), beni di cultura e intelletto.
La Chiesa invoca quindi un’etica umana che coinvolga un nuovo rispetto verso la creazione e verso le forme di vita, contemporaneamente verso una nuova solidarietà per le popolazioni più indigenti con l’assunzione di responsabilità dell’uomo che metta al centro l’impegno di uno sviluppo sostenibile per le generazioni future. È una responsabilità etica, di cui tutti siamo attori e a cui nessuno può sottrarsi e che perciò comporta una riflessione sul comportamento operativo dell’uomo nell’ottica dell’obbligo di rispondere delle proprie azioni e di quelle di altri. Questa responsabilità appare la risposta più attrezzata per fronteggiare quel disagio della civiltà che è anche espressione di un’inadeguatezza del modo di pensare e delle pratiche di vita nei confronti delle sfide che l’attuale sviluppo economico del mondo c’impone.
don Francesco Poli