“Ora Gesù disse loro: Non hanno bisogno di andare, date loro voi stessi da mangiare. Ora gli dicono: Non abbiamo qui se non cinque pani e due pesci” (Mt. 14, 16-17).

Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, ad opera di Gesù nel deserto, è il frutto del sacrificio dell’innocente Giovanni Battista, ucciso al banchetto di Erode. “Se il chicco di grano sepolto nella terra muore, porta frutto”. Il paradosso evangelico è servito: il banchetto del Palazzo di Erode, con tutti i suoi commensali, offre abbondanza e godimento che generano abuso, prevaricazione e morte: l’uccisione di un innocente; il deserto invece, luogo arido e inospitale, diventa generativo, grazie alla presenza di Gesù. Al Palazzo viene servito il pane per la morte, nel deserto viene donato pane per la vita.
A questa rilevante constatazione porta il miracolo del pane: mostrare agli occhi e agli orecchi di chi è disposto a vedere e sentire la forza vivificatrice del Figlio che ama il Padre e i fratelli. Il miracolo non consiste tanto nell’abbondanza di cibo reso disponibile da Gesù per sfamare i presenti quanto nell’efficacia della Sua preghiera benedicente: tutto si riceve dal Padre. Ogni briciola di pane è dono, segno di amore infinito. In ogni dono c’è il donatore che si dona. Chi bene-dice colui che bene-dà sa vedere in ogni frammento il tutto. In Gesù questa forza del “dare” deriva dalla sua capacità di alzare gli occhi verso l’alto, dal suo essere tutto per il Padre, come il Padre è tutto per il Figlio. Il dono è all’origine del miracolo del pane, in una logica, diremmo oggi, circolare: lo stesso unico pane benedetto passa dalle mani del Figlio a quelle dei discepoli e da questi alla folla, alle mani di tutti. Così i fratelli diventano figli. Dal dono, di mano in mano, riprende il flusso della vita che la violenza della mensa di Erode aveva interrotto. Così anche il deserto, rifiorisce.
Il miracolo del pane svela l’inadeguatezza dei discepoli nell’affrontare con la logica mondana, piuttosto che evangelicamente, le questioni della vita. Mortifera la loro proposta fatta a Gesù: “Deserto è il luogo, l’ora già è passata… congeda la folla perché vadano nei villaggi e si comprino cibo” (Mt. 14, 15). I discepoli, constatata l’ora tarda e il luogo deserto, ritengono che non ci sia più niente da fare. La proposta ha il sapore di una regressione: ritornare indietro, nei villaggi e comperare qualcosa. Una tentazione questa che anche oggi ci prende di fronte alle sfide del tempo presente: il desiderio di tornare indietro, che tutto torni come prima, allorché il nostro stile di vita si nutriva al banchetto di Erode. Ma la novità della vita proposta da Gesù, originante un nuovo modello di sviluppo fraterno e filiale, sta nel vedere pane nel deserto, nella notte, pane che è per tutti, si fa eucaristia, è gratis. Comperare e vendere al solo fine di lucro sta alla base della logica del mercato, che aggrega le persone facendone individui da villaggio globale, commensali, al banchetto di Erode. Niente sfugge a questa logica: Gesù stesso avrà un prezzo, sarà comperato e venduto, tradito per denaro.
Il miracolo del pane che Gesù compie mostra, nella libertà vissuta lottando contro ogni forma di schiavitù, la condizione originaria della figliolanza. Questa libertà non potrà che essere illusoria se ricercata fuori dalla scelta responsabile; altrimenti è a portata di mano quando la responsabilità si mette in gioco, affrontando, in modo inedito, le condizioni oggettive del vivere. “Date loro voi stessi da mangiare”, propone Gesù. Il pane che sazia nel deserto non è quello che si compra o si vende, ma è quello che viene portato nella disponibilità del momento: “Non abbiamo qui che cinque pani e due pesci”. Oggi, soprattutto, si ritiene sempre poco quello che si ha a disposizione, senza avere coscienza che, cinque più due fa sette: numero dal valore simbolico che indica abbondanza. Anche il poco che c’è può bastare per tutti se condiviso come dono; insufficiente se trattenuto per sé. Così, il miracolo del pane può compiersi ancora oggi, ed anche in futuro e sempre, ogni volta che poniamo nelle mani di Gesù la nostra insufficienza. È così che il nostro ” poco” si trasforma in abbondanza, in eucaristia: ricevuto, spezzato e dato con mani di figlio. È il deserto che rifiorisce.
don Francesco Poli