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Editoriale

In cammino con il Vangelo aperto…

Ci incamminiamo nel nuovo anno pastorale aprendo insieme il vangelo: “Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la Parola li ammaestrava dicendo…”. (Mt. 5, 1 ss.). Percepiamo, da subito Gesù che si propone come colui che apre la bocca e ammaestra i suoi. Qui, nel vangelo che stiamo leggendo insieme, viene usato il verbo “essere maestro”. Si allude cioè ad una forte autorevolezza di Gesù, che è, appunto “maestro”, che apre autorevolmente bocca e rivela la volontà di Dio. Egli non è dunque “uno qualsiasi”, ma Colui che ha autorità; questa autorità la si riconosce da subito. Nel testo, più avanti, si leggerà di una folla stupita del suo insegnamento: infatti egli “insegnava come uno che ha autorità e non come i loro scribi”. Dunque, per gli ascoltatori, Gesù appare sin dall’inizio come uno che ha potenza, che ha “autorevolezza interiore”; questo suo “modo d’essere” permetterà alla folla anonima, di diventare un popolo, pieno di ammirazione e stupore davanti a Dio.

Considerare l’autorevolezza di Gesù ci permette di avvicinarlo come uno davvero speciale. Infatti ciò che noi, insieme con quella folla che diventa popolo, ascoltiamo, è novità assoluta: Dio che ci parla. Un “parlarci di Dio” nella persona di Gesù fatto con autorevolezza, che esige una libera adesione obbediente: “Una cosa è certa: se non fate la volontà di Dio, voi non entrerete nel Regno di Dio”(Mt. 5,20). Il vangelo ci propone la necessità di vivere l’obbedienza alla volontà di Dio come risposta libera, cioè in un modo nuovo, che non sia “solo” l’osservanza esteriore della legge. La novità della proposta di Gesù ci predispone ad una nuova morale che trova il suo punto di riferimento nella persona di Gesù e nell’accettare di diventare suoi discepoli:

La lettura del vangelo nel cammino condiviso ci apre così al discernimento, questo ci aiuta a capire in cosa consista l’impegno morale che ci è richiesto: siamo chiamati da Dio ad una “libertà obbediente”, ad essere cioè “figli”, mossi dall’amore e non dal dovere; a scegliere il bene e a compierlo. Ma “fare il bene” non è mai solo fare qualcosa di buono: il bene da fare si offre sempre come una tensione tra i singoli beni concreti e un “Bene” che non coincide mai pienamente con nessuno di essi.   Ciò che è bene non potrà mai essere conosciuto esclusivamente per esperienza, ma sarà sempre accolto come Parola che si fa carne. Il Bene, infatti, lo posso sperimentare proprio perché mi è rivelato. E rimane sempre come luce, come guida, come radice interiore dei miei gesti. Buon cammino!

don Francesco