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Editoriale

LA FORZA DELLA PAROLA

Gennaio-2019
Gennaio-2019

Le buone pratiche, anche se di un tempo ormai passato, non andrebbero mai abbandonate: penso a quelle in uso, una volta appunto, nella scuola primaria: il dettato e il riassunto. Il tentativo recente di rivalutarle in Francia come in Italia, ha scatenato polemiche alquanto incomprensibili. Rimango convinto che, se oggi si può (e penso che si debba!) educare, ciò non può che realizzarsi anche, e soprattutto, attraverso il linguaggio, l’educazione alla parola, la cultura di un uso appropriato e meditato del modo di esprimersi. Faccio mia l’affermazione di Flaiano; “Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince. La parola placa. Questo per me è il senso dello scrivere”.

Il ciclone digitale, con la sua poderosa e affascinante strumentazione, è in continuo progresso ed è così pervasivo, particolarmente nelle nuove generazioni, da occuparne l’interesse e il tempo al punto di distoglierle dall’educazione scolastica tradizionale: alle tecnologie i ragazzi si applicano “per gioco”, mentre alla scuola “per noia”. 

Il film francese “A voce alta. La forza della parola”, di recente in programmazione nelle sale italiane, è l’interessante tentativo di affrontare la questione della “forza” della parola attraverso la riflessione sul valore dell’arte della retorica. La pellicola racconta di un concorso di Eloquenza, volto ad eleggere il “miglior oratore dell’anno”, che si svolge in una università parigina. Svariati studenti, maschi e femmine, di diversa estrazione sociale e fede religiosa, decidono di partecipare, preparandosi alla non facile arte di parlare in pubblico. La vicenda del film racconta i vari momenti del concorso. Gli studenti apprendono che per incidere, contare nella società si deve interloquire con gli altri, … convincerli con la forza della parola. Quando si convincono gli altri ad agire o a non agire, si sta usando la retorica. La sorpresa è nello strepitoso finale: i giovani – in maniera imprevedibile – fanno emergere dal loro vissuto risorse insospettate: hanno tutti idee nuove e interessanti da dire e da realizzare. È tempo che quanti abitano il delicato e affascinante mondo del “mestiere educativo”, come la famiglia, la scuola, la Chiesa, prendano a riferimento la massima di Plutarco: I giovani non sono un vaso da riempire (di nozioni), ma un fuoco da accendere.  

L’era digitale ci segnala ancora ciò che sappiamo da sempre: l’animo umano è attratto non dal dovere, quanto dal gioco, dal desiderio. Seguiamo l’insegnamento di Agostino il quale sosteneva che l’educare muove dalla cura del desiderio. Il desiderio va sempre attizzato, mai estinto. Accendiamo come un fuoco la vita dei ragazzi, il fuoco del desiderio, della passione. Diamo parola, apriamo “Concorsi della parola”, educando i ragazzi alla gioia del parlare, del comunicare. La sfida del futuro non sarà tanto quella della colonizzazione digitale o dell’intelligenza artificiale applicata ai servizi, quanto preparare cittadini e laici cristiani informati, appassionati, protagonisti della vita sociale ed ecclesiale, consapevoli dei loro diritti e doveri, capaci di   interloquire, di proferire parole per esprimere il proprio pensiero libero e generativo. 

Accendiamo nei giovani l’entusiasmo per la ricerca di un’educazione viva, educazione ambita come un Bene d’amore. Sia per noi oggi la parola di Agostino: Ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene. La parola torni ad essere elemento di forza. Diamo voce alla  alla parola.

don Francesco Poli