
E “niente sarà più come prima”: questo il tema ricorrente, ripetuto in ogni dove, associato all’attuale congiuntura epidemica. Prima ancora di poter immaginare il cambiamento che la condizione pandemica andrà inevitabilmente a disegnare, in esso è manifesta tutta la paura che percepiamo in questo tempo attuale, in cui ci sentiamo orfani di quel nostro mondo sempre più frantumato, in rovina. “Niente sarà più come prima”. Lo diciamo quasi esorcizzando la paura per un futuro inimmaginabile che, in fondo, pur nella consapevolezza che non sarà più come prima, vorremmo che fosse ancora, almeno per quella parte in cui ci siamo trovati, cristiani e non, privilegiati nel vivere, avidamente dediti ad una pagana cura della felicità.
Si è dunque materializzata la condizione che più temevamo: siamo diventati, in modo inatteso e fulmineo, orfani di felicità. Tuttavia questa attuale condizione di sciagura può convertirsi in nuove possibilità. Tutto starà nella scelta di porre, fin da adesso, come presupposto principio altre peculiarità di vita: un diverso modello di felicità nella libertà. S. Agostino in un Sermone tracciava in poche battute la differenza tra la felicità pagana e la felicità cristiana: “Dimmi, epicureo cos’è che rende l’uomo felice? Il piacere del corpo! Dimmelo tu stoico, la forza dell’animo; e tu cristiano? Il dono di Dio” (Sermone 150). Alla voluptas e alla virtus classica – ma anche sempre molto moderna – si contrappone il donum. Il dono della grazia di Dio, che è e deve essere il punto di partenza di un nuovo tragitto nella vastità del vivere globale per approdare alla sicurezza del porto nella terra di una nuova e differente felicità. Una traversata che, comprensibilmente, non potrà affidarsi solo alle possibilità e condizioni della scienza, della tecnica e della potenza economica, ma dovrà imprescindibilmente includere la Provvidenza divina che, sola, ci rende capaci della “reciprocità del donarsi” Il dono, capacità di valorizzare e rendere proficua la vita, capacità di innescare dinamiche di fiducia e solidarietà necessarie al vivere sociale.
Il principio del dono, della gratuità è valorizzato nella “Caritas in Veritate” (CiV): secondo la concezione antropologica cristiana, l’uomo è immagine di Dio e l’esperienza del dono indica la dimensione trascendente della persona: “L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza” (CiV 34). “Il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica” (CiV 34).
L’irrompere di luce, di vita, di speranza che si è visto nel giorno di Pasqua, ci fa spiegare le vele con la certezza che il dono di gloria del Risorto è l’inizio della glorificazione dell’umanità orfana e impaurita, l’inizio del suo viaggio verso la sola e vera beatitudine, la sola e unica felicità: la Risurrezione di Cristo, che ci rassicura “andrà tutto bene”, perché con la Sua presenza gloriosa nessuno è orfano. Dunque, l’inizio del nuovo viaggio al quale siamo chiamati, a partire da questa esperienza drammatica della pandemia, non può che aver muovere dalla promessa del Risorto: il Padre darà a voi un “Consolatore” perché rimanga con voi per sempre. Coraggio! Alziamoci in piedi e prendiamo, ognuno secondo le proprie responsabilità, le decisioni necessarie, sapendo che lo Spirito santo è con noi. Non è questo, per la chiesa e il mondo, il tempo di attendere nel pianto la venuta di un “Messia”. Noi credenti abbiamo nello Spirito Santo, dono del Risorto, la guida sicura per la felictà. Niente sarà più come prima.
don Francesco Poli