“Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». (Gv. 3, 3)
“L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante.” Cesare Pavese

Questa fase storica, fase di transizione ecologica, sociale ed ecclesiale, fase di etica ambientale sostenibile, solleva alcuni non secondari interrogativi. Uno di essi è inerente alla questione della ripartenza, o della rinascita. Questa è ritenuta da qualcuno non altro che la necessità di incominciare a rimettere a posto le cose, cioè strutturare, valutando e tutelando, il nostro ecosistema. Ora, alla luce di questa esigenza, nasce pronta la domanda: È tempo di mettere a posto le cose, o non piuttosto, innanzitutto, di comprenderle? Una questione cruciale, anche per la fede. Ciò che si è vissuto in questi mesi di pandemia con il carico di sofferenze e di lutti, ha aperto all’umanità un nuovo scenario globale in cui i temi nodali, oltre a far presagire il cammino da compiere, sollecitano un dinamismo di crescita verso un “nuovo umanesimo planetario”.
Uno scenario in cui si intrecciano luci e ombre. Le luci sono irradiate dalla presenza nelle società di luoghi e persone che evidenziano una tensione verso i beni comuni, i valori della convivenza civile in una prospettiva multietnica e multireligiosa, nel rispetto della verità dell’umano e della Terra. Si pensi alle Istituzioni, associazioni e movimenti, laici ed ecclesiali, alle scuole, ai centri culturali, al mondo del lavoro e dell’imprenditoria, alle iniziative di carità, solidarietà e volontariato, anche giovanile. Le ombre, che talvolta prevalgono sulle luci, senza tuttavia spegnerle, sono costituite dall’indifferenza, dal disimpegno civile e religioso, dalla corruzione e dall’affarismo… Questo scenario, che la pandemia ci ha ancor più palesato consegnandocelo, suscita interrogativi sul presente e sul futuro sia delle società civili sia di quelle ecclesiali.
L’approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che mette a disposizione ragguardevoli risorse economiche, la voglia di superare e di dimenticare la drammatica vicenda del Coronavirus che ci ha colpito, ci spingono, anche con una certa euforia, verso “un mondo nuovo”. Un mondo, come da più parti si sottolinea, green e digitale, il mondo delle opportunità per tutti, nel quale, almeno così si sostiene, “nessuno sarà lasciato solo”. Un mondo che tutti ci auguriamo che si realizzi, ma non ad ogni costo. In questo passaggio epocale che l’umanità sta vivendo, il cristiano guarda lo scenario globale che si va definendo e, non volendovi aderire supinamente, cioè senza porre interrogativi seri sul presente e sul futuro, si trova come un frangiflutto verso il quale si infrange l’ondata d’ottimismo a prescindere, ritagliando così al Vangelo quello spazio profetico caratteristico del credente che viene consegnato a coloro che determinano il nuovo assetto globale. Come scriveva Cesare Pavese: “L’unica gioia al mondo è incominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante”. Noi cristiani sappiamo che l’unico vero modo per incominciare è aprire spazi di contemplazione del Mistero. Partiamo dunque dalla contemplazione del Signore per interrogarci sulla situazione attuale, con speranza, senza trascurarne i problemi. Non ci seduce, infatti, la prospettiva ingenua che di fronte alle grandi sfide di questa stagione epocale possa esserci quasi una formula magica. Lo scriveva Giovanni Paolo II: “No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!” (MMI). Da qui, ciò che ci aspetta non sarà in prima battuta “mettere a posto le cose”, quanto comprenderle e agire non tanto con la preoccupazione di dare attuazione puntuale a programmi definiti, quanto piuttosto proseguire il cammino da compiere insieme come una crescita verso la maturità umana e cristiana.
don Francesco Poli