
In quanto cristiani, originati dall’esperienza Pasquale del Cristo Signore, siamo la Chiesa – “Corpo di Cristo” – e con gli altri abitiamo le città dove siamo inviati a testimoniare l’infinito amore di Dio per ogni creatura. La passione per l’umano ci anima e sollecita ad impegnarci, oltre che con le parole, anche con il nostro responsabile concreto apporto per affrontare le molteplici crisi di cui la nostra società sta facendo esperienza. Crisi talora profonde che investono tutte le dimensioni del vivere. L’esperienza pasquale illumina la consapevolezza che questo tempo è segnato dalla cupa e grave tensione tra le forze che perseguono la decadenza e quelle che al contrario perseguono la rinascita morale e civile della nostra società. Non appena ci si sveglierà dal torpore nel quale l’esperienza pandemica ci ha rinchiusi e si saprà guardare gli eventi oltre i numeri della “triste vicenda sanitaria” ci si accorgerà di come la crisi non sia ristretta a pochi ambiti e che l’approccio del credente ai problemi dovrà essere triplice: culturale, educativa, sociale.
In primo luogo culturale, perché si ritiene possibile superare l’atteggiamento di sconcerto per i mutamenti in atto, spesso recepiti o immaginati come stravolgimento di una concezione tradizionale dei valori fondanti della vita e dei comuni legami, per spingerci ad una riflessione più profonda sulle ragioni di tali mutamenti e sulle questioni in gioco. Poi educativo, perché in riferimento alla necessità di fornire, da cristiani, un contributo per formare una “Leadership cristiana” che operi nel tempo attuale, nell’oggi, per il vangelo, superando l’atteggiamento, talora diffuso tra tanti credenti, che li induce a vivere nelle società moderne come se avessero una condanna alla clandestinità. E infine sociale, perché dall’esperienza di credenti può nascere un pensiero evangelico che alimenti un discernimento responsabile che conduca all’azione e non un generico darsi da fare, magari a rimorchio di un “pensiero unico e politicamente corretto”, ma non evangelico. Mi riferisco alla necessità di porre il tema della generatività come canone di lettura dell’azione rigenerativa della pasqua nella società secolarizzata. È tempo ed ora che ci si apra non solo a una “transizione”, ecologica, sociale, ecclesiale… come da più parti si sollecita, ma a un “Tempo nuovo”. Un tempo che sia del tutto differente sia da quello della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, sia da quello dei grandi cambiamenti politici che si sono avvicendati a partire dagli anni ’70. Allora, nella fase della ricostruzione, la forza della fede comune ha contribuito a dare impulso ad una straordinaria mobilitazione di talenti e laboriosità. Nella stagione della conflittualità sociale, la comunità cristiana ha trovato riparo nel sostegno della famiglia e nello spazio fraterno della parrocchia, come nei gruppi. Ma quest’ultimo atteggiamento ha portato all’indebolimento della missione pubblica dei cristiani: il ritiro dallo spazio pubblico ha intaccato la capacità della fede di illuminare la ragione e di dare slancio all’azione dei cristiani nello spazio comune.
Il “Tempo nuovo” che si apre da questa esperienza di pandemia non potrà che avere i tratti del “Tempo generativo”. “Generatività”: parola che indica un valore, ma anche una prospettiva che assume in pieno la profezia evangelica, resa esplicita in particolare dalle parole di Gesù: Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza (Gv. 10,10). Un’espressione che assume nell’oggi un significato salvifico, perché chiarisce che tutti noi, dentro le sfide della nostra contemporaneità, siamo chiamati non solo a fare il nostro dovere, ma anche a dare una testimonianza ulteriore: mettere le nostre capacità, i nostri talenti al servizio di ciò che si rinnova al mondo, che consenta una nuova primavera, una rinascita dei singoli e insieme della comunità. La speranza che ci anima è di contribuire all’avvio di una stagione profetica di rilancio della presenza dei cristiani quali laici impegnati nella edificazione della Casa comune. L’esito di un’opera autenticamente generativa non è garantito dalla facilità del percorso, ma dalla capacità di cogliere i segni di Grazia che vi operano. Ogni gesto generativo: legami d’amore, mettere al mondo un figlio, educare, creare e intraprendere un lavoro, accrescere spazi di libertà e solidarietà, sono un passo in avanti nell’opera della creazione. È tempo di svegliarci dal torpore e sognare agendo.
don Francesco Poli