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Editoriale

Fragilità dei territori e futuro delle città

Lo scorso settembre, la nostra Parrocchia ha presentato al Comune di Bergamo delle Osservazioni al Piano di riperimetrazione dei quartieri cittadini (lettera pubblicata su questo Notiziario nel mese di ottobre a pag.19).

L’argomento, di non solo carattere “civile”, sollecita l’intera comunità cristiana a riflettere sull’inderogabile problema politico/sociale della fragilità territoriale e del futuro delle città. La questione di nuovi confini del quartiere si inquadra nell’esigenza che la comunità avverte di orientare a nuovi paradigmi il modo con cui la storia moderna ha interpretato fino ad oggi l’Abitare i Luoghi. Il punto di partenza richiede la capacità di ri-significare il concetto stesso di “Paesaggio” che, nella prospettiva futura, dovrà essere considerato nel contesto di “fragilità” socio- culturale in cui ci troviamo.  La prospettiva muove le sue ragioni dalla tesi che il “Paesaggio fragile” dovrà essere assunto ad archetipo per affrontare le sfide che l’Abitare i luoghi richiede se si vuole attuare una transizione verso un futuro sostenibile e solidale. Infatti, solamente un futuro che si mostrerà alla Terra come sostenibile e solidale, potrà garantire dignità a tutto il creato ospitato nel Cosmo – “Casa comune” – così come proposto dalla Laudato si’.

Paesaggio fragile” denota, ad una prima prospettiva, l’esperienza contemporanea dello spazio e dei luoghi, colti nella loro vitalità, con quella energia intrinseca che li proietta sempre “oltre”: un “Paesaggio in movimento”, trascendendo progressivamente i paesaggi come li abbiamo conosciuti nel loro offrirsi a noi nel tempo, nelle loro forme ferite da eventi di dissesti idrogeologici, che si mostrano talora con modalità catastrofiche. Paesaggi del tempo che si vanno perdendo: “Paesaggi perduti” dei quali troviamo memoria, come l’ex area Gres o il vivaio Franchi, anche nel nostro territorio.

Paesaggio fragile”, considerato da un altro aspetto, comprende in sé il tema dei confini e delle frontiere, questione che si palesa in diversi ambiti, tutti di grande attualità (… Quartiere, Nazione, Continente…). Le valutazioni si articolano intorno al concetto stesso di confine, che si denota quale risultato di un “tragico equivoco” storico/culturale, che si è andato imponendo con il modello politico – culturale dello Stato Nazionale. Storicamente si sono definiti i confini degli Stati Nazionali nella prospettiva di un limes (limite) inteso come una cesura: confine come “ferita” profonda ed estesa tra gli Stati, separando e dividendo ciò che sarebbe potuto essere elemento di inclusione nell’accezione di limen in quanto soglia (Così A. Tarpino, Il Paesaggio fragile, Ed. G. Einaudi 2016).

Necessita pertanto un mutamento (una correzione) di prospettiva: da un’ottica di confine, quale si è affermato con gli Stati Nazione, all’idea di un confine quale Cum-fine, del “noi”, come ciò che unisce. Solo così il limen potrà ritornare ad assumere il suo autentico profilo: quello di “spazio vuoto”, di soglia. Ed è proprio questo Limen  (col suo valore di soglia), peculiare della cultura ecologica, che ri-assume la sua vocazione: rigeneratrice delle relazioni con la natura.

Un “Paesaggio”, non più definibile tale a priori, rispetto alle sue condizioni oggettive, collocato in un ecosistema vivo, che si connota come “fragile”: perennemente esposto a…, e quindi vulnerabile nel suo donarsi. Questo continuo “essere esposto a…”, incoraggia paradossalmente la naturale sua vocazione a connettere, concatenare, in un sempiterno legame, le diverse realtà di cui si compone. Il modello esemplare del “Paesaggio fragile” si mostra così capace di tessere un disegno territoriale complessivo. Conservare, difendere e ri-significare Paesaggi diventa quindi un compito urgente per l’intera comunità, è il compito di iscrivere l’umano nel territorio, a partire da chi vi opera.  In questa visione il Paesaggio, assegna autorità e responsabilità all’uomo-paesano che con il suo lavoro ha la capacità di trasformare sia l’ambiente fisico sia l’ambiente sociale, abitandolo.

don Francesco Poli