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Editoriale

SFIDE DA RACCOGLIERE, ORA

Quattro questioni da affrontare Da subito, per una città più che sicura, solidale!

La sfida del LAVORO

L’attuale crisi economica sembra aver messo in discussione i pilastri del sistema economico, già da tempo minati alle loro basi. Uno sviluppo che poggia sullo Stato sociale (Welfare garantito a tutti) ora non sembra più proponibile. Eppure proprio il suo venir meno determina l’abbandono di obiettivi di giustizia sociale prima ancora che economica. Gli attuali processi politico/economici in corso nei Paesi sviluppati così come quelli in via di sviluppo hanno comportato “la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell’uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale. I sistemi di sicurezza sociale possono perdere la capacità di assolvere al loro compito, sia nei Paesi emergenti, sia in quelli di antico sviluppo, oltre che nei Paesi poveri” (Caritas in Veritate, n. 25).

Come è possibile, dunque, operare in un contesto in cui lo Stato sociale, malconcio, è ridotto a brandelli? Qual è la nostra attenzione in una società che pone a fondamento l’interesse personale piuttosto che la giustizia sociale? Come superare l’ideologia di un sistema incentrato sul soggettivismo per giungere a un sistema di solidarietà fra le generazioni, e prima ancora fra persone?

La sfida dell’UGUAGLIANZA

Il concetto di meritocrazia sembra contrapporsi spesso all’idea di uguaglianza e interroga ovviamente il cristiano, specie in contesti locali ove tale problema è particolarmente sentito. Aldo Bonomi nel libro Il Rancore, afferma “Nel Nord abbiamo a che fare con una società dell’individualismo compiuto in cui non ci si sente mai ultimi. Al contrario ci si sente primi nel sistema paese, collocati sul confine della competizione globale. Più che il linguaggio dell’uguaglianza rispetto ai bisogni, si vorrebbero sentire proposte di opportunità rispetto al merito nel fare impresa e professione”. La società evidenzia dunque un’obiettiva difficoltà nell’accettare un messaggio di uguaglianza. Eppure, come affermato nella Caritas in Veritate n. 32,“la dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza (…) L’aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali all’interno di un medesimo paese e tra le popolazioni dei vari paesi, ossia l’aumento massiccio della povertà in senso relativo, non solamente tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio la democrazia, ma ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del capitale sociale”.  Ci troviamo dunque di fronte da un lato ad una società che ritiene l’uguaglianza un limite e dall’altro ad una serie di ricadute pericolose che la diseguaglianza genera. Com’è, dunque, possibile portare il messaggio dell’uguaglianza nella società?

È accettabile la sola logica della meritocrazia o il merito va connotato in maniera diversa? In che modo intervenire affinché l’uguaglianza e solidarietà tornino ad essere obiettivi cruciali delle nostre comunità?

La sfida tra GLOBALIZZAZIONE e COMUNITÀ LOCALI

Accanto ad una società che tende a intessere rapporti sempre più incalzanti ed intensi con il mondo esterno, le comunità locali spesso percorrono la strada opposta, quella della chiusura. Ai timori e dubbi  talora ingenerati dalla globalizzazione, non di rado si risponde con una esacerbata affermazione dell’identità locale, individuando elementi storici, geografici o perfino etnici che l’avvalorino. Il continuo riferimento al territorio evidenzia tuttavia delle mancanze. Da un lato stiamo assistendo al logoramento del capitale sociale, quel patrimonio di relazioni capacità che lo stare insieme genera; dall’altro aumentano le sfide che richiedono un capitale sociale forte. Inderogabili sorgono diversi interrogativi: qual è il ruolo dei cristiani in una società in cui ciò che è locale appare ormai inserito in una logica globale? Come incidere sulla formazione del capitale sociale delle nostre comunità e come favorire risorse suppletive? In che modo rendere riconoscibile la fraternità quale elemento inclusivo delle nostre comunità? Infine, ipotizzando che le comunità possano essere una risposta alla sfida della globalizzazione, come incidere perché le stesse si possano definire tali (considerato che, ormai, le comunità stesse sono pervase dall’individualismo)?

La sfida dei DIRITTI UMANI

Si sta vivendo un paradosso: si affianca all’affermazione dei diritti, la loro negazione. Siamo, infatti, parte di organismi a livello internazionale, utilizziamo l’immagine per apparire difensori dei diritti universali dell’uomo, eppure non ci adoperiamo per l’effettiva affermazione degli stessi. È l’universalità della persona il criterio che fornisce ai diritti umani la caratteristica di essere universali, così da evitare applicazioni parziali o visioni relative. La loro mancata tutela, che spesso si evidenzia nell’atteggiamento di tante istituzioni e funzioni dell’autorità, è il frutto della disgregazione dell’unità della persona intorno alla quale si pensa di proclamare diritti diversi, di costruire ampi spazi di libertà che però rimangono privi di ogni fondamento antropologico . Come affermato nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa al n. 153 “La radice dei diritti dell’uomo, infatti, è da ricercare nella dignità che appartiene ad ogni essere umano”. Il tema dei diritti ci richiama dunque alla persona, al “considerare il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro se stesso, tenendo conto prima di tutto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla degnamente” (Gaudium et Spes, n. 27). La tendenza è però quella di considerare l’altro come se stessi, fin tanto che non dà fastidio, fin tanto che non invade il proprio campo di azione, fin tanto che non incide a livello di consenso. Nasce allora spontaneo chiedersi: i diritti umani sono una via ancora percorribile? Qual è il limite fra affermazione e rinnegamento degli stessi? È tollerabile la negazione della dignità della persona per rispondere al malessere della società?

don Francesco Poli