Ci stiamo addentrando nell’ultima parte di questo 2016. Fra poco più di un mese festeggeremo l’inizio di un nuovo anno, sognando, progettando e augurando a parenti, amici e conoscenti un futuro migliore. Ora, al punto in cui siamo arrivati qui nel percorso della vita, mi parrebbe opportuno che ognuno di noi raccogliesse in un unico vocabolo l’esperienza di bene donato e ricevuto. Esprimere tutto ciò con un termine semplice, usato spesso di rado: Grazie. Una parolina di frequente utilizzata in modo automatico, come atto di cortesia o di cosiddetta “buona educazione”.
È essa invece una parola esaustiva che svela in modo profondo un miscuglio di serenità, umiltà, gioia, consapevolezza di aver avuto un dono. Sentimenti e vissuti che, sommersi dalle urgenze, dai problemi, dalle ansie, dalle preoccupazioni… non riusciamo a riconoscere e promuovere. Le giornate scorrono velocemente nel quotidiano susseguirsi di incombenze varie: il lavoro o la sua ricerca, le mode del nostro tempo; tutti interessi che ci dominano, assorbendo moltissime delle nostre energie, ci consumano e ci rendono sempre più soli e tristi: Aridi.
Talvolta riteniamo di essere indispensabili, di costruire da soli i nostri risultati, i nostri successi. Presi da “peculiari interessi e apprensioni” lasciamo scivolare nell’indifferenza i drammi e le contraddizioni della nostra epoca. Di fronte all’incertezza del futuro e al disinteresse diffuso nell’individualismo di quartiere, ci chiudiamo nei nostri mondi, abbandonando il desiderio ancora presente in noi di tessere socialità.
Si radica così nelle comunità l’incapacità di un confronto civico, ecclesiale, associativo e politico; di individuare percorsi condivisi, traguardi, speranze da animare insieme.
Troppe volte, spesso per opportunismo, talora per paura o egoismo, non ci soffermiamo su fatti, situazioni, comportamenti scorretti o non evangelici, esibendoli come giusti e accettabili, anche se nel segreto di noi stessi sappiamo che non lo sono. Cerchiamo di non farci coinvolgere nel confronto né dalla presenza del fratello o dalla richiesta di impegno comune quale emerge soprattutto dalle sfide a cui questo nostro tempo si sollecita: l’urgenza di affrontare, in una prospettiva di civiltà, rapporti umani più fraterni.
Questo nostro tempo ha davvero bisogno di vedere tra noi la gioia, la speranza e la capacità di essere dono nel darsi come nell’accogliere. Il futuro è dei profeti di buona speranza a cui il Vangelo della gioia viene affidato. Ma perché il futuro appaia già oggi, è necessario partire dal dirci un semplice “grazie”!
don Francesco Poli